mercoledì 13 dicembre 2006

Chiarezza sul caso Welby

Luisella Battaglia, membro del nuovo Comitato Nazionale per la Bioetica, ci aiuta a capire quali sono, già oggi, i diritti di un malato nelle stesse condizioni di Piero Welby («L’ultima volontà», Il Mattino, 13 dicembre 2006, pp. 1 e 11):

«Nessun intervento in campo sanitario può essere effettuato se non dopo che la persona a cui esso è diretto abbia dato un consenso libero e informato... La persona a cui è diretto l’intervento può, in ogni momento, ritirare liberamente il proprio consenso». È l’articolo 5 della Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina (1997) ratificata dal parlamento italiano nel 2001, non una nuova legge sull’eutanasia. Welby, chiedendo il distacco dal ventilatore polmonare, ha esercitato un suo diritto.
Un diritto sancito anche dall’articolo 32 della nostra Costituzione. «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento. Nessuno può essere sottoposto a una cura che rifiuti». Un diritto, occorre aggiungere, non dissimile da quello della signora che qualche tempo fa rifiutò l’amputazione della gamba, pur sapendo che tale scelta, compiuta in piena coscienza, l’avrebbe portata alla morte. Nessuno ha potuto impedire tale decisione, come nessuno può impedire a un testimone di Geova di rifiutare le trasfusioni di sangue.
Dovremmo chiederci perché sia così difficile, nel nostro paese, ottenere il rispetto dei diritti fondamentali delle persone. Negando il diritto di Welby all’autodeterminazione, si è di fatto restaurato un vecchio paternalismo medico che, con il pretesto della cura compassionevole, pretende di imporre la sua idea di «bene» in conflitto con quella del singolo individuo. «Prendersi cura» non significa sempre e solo tenere in vita a ogni costo ma assumersi talora la responsabilità condivisa di accompagnare la vita al suo naturale compimento.

6 commenti:

Maurizio ha detto...

Perfetto. ogni giorno esce un articolo più bello del precedente. Veramente non si contano.

Peccato non serva a niente...

Anonimo ha detto...

E' possibile chiamare l'uccisione di un uomo affermare un diritto? A me non sembra un diritto per cui combattere. Chi può decidere quando non è più il momento di vivere? E perché non aiutare le persone che sono in difficoltà, invece di accettare di eliminarle?

Marco

Anonimo ha detto...

Welby non chiede il distacco dal ventilatore polmonare, come ci volete far credere nel vostro tentativo di strumentalizzare la realtà perchè lui stesso ha ammesso di poterlo fare da sè in ogni momento; Welby chiede una sedazione terminale, ovvero una potente dose di morfina che non solo lo stordisca totalmente, ma lo finisca in un batter d'occhio.


Cominciamo a chiamare le cose con il loro nome: Welby chiede di essere ammazzato 'dolcemente'.

Parlate di autodeterminazione come se la vita ce la dessimo da soli, come se avessimo chiesto noi di venire al mondo! La vita non è un off/on e basta e smettete di elevare ad icona Welby, non è il solo malato al mondo, ce ne sono tanti altri, anche più garvi, che non desiderano affatto morire, anzi lottano per una speranza, seppur remota, seppur vana e si aggrappano con le unghie e con i denti alla vita, anche se questa sembra sempre di più sfuggirgli. Questi sono eroi!!

A.V.

Chiara Lalli ha detto...

A.V.,
su Welby non rispondo perché l'ho già fatto.
Invec vorrei chiederti, cosa significa "come se la vita ce la dessimo da soli"? O meglio, come fai a credere una cosa simile? (Non è una domanda polemica, sul serio non mi capacito e ti chiedo lumi).

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo di chiamare uccisione quanto richiesto da Welby. Parlo del Welby personaggio pubblico, non so di lui come persona privata e mi scuso con lui. Ma è lui che si è fatto personaggio pubblico... Visto che è richiesto che lo faccia un medico allora è un'uccisione terapeutica. Se invece è richiesta solo la sedazione per uccidersi da sè è una specie di anestesia, che comunque fa un medico in vista di un intervento terapeutico. Quindi attenzione: la morte entra nell'armamentario terapeutico della medicina. Si riapre una porta mai chiusa completamente (rupe tarpea, eugenetica, selezione artificiale della razza)
Non scomoderei chiesa e religioni nel dibattito: queste usano ampiamente la morte come strumento , a quanto si vede, la chiesa poi lo usava come strumento terapeutico: uccideva il corpo per salvare l'anima...

Anonimo ha detto...

E' pazzesco che ci siano "laici" che ancora non accettano che ogni individuo sia libero nel scegliere come gestire la propria vita (ovviamente nel rispetto degli altri)!
Se un uomo (o donna) adulto, responsabile, consapevole e LIBERO decide che il peso della sua vita sofferente gli è diventato insopportabile perchè qualcuno vuole obbligarlo a vivere? Non conosciamo tutti situazioni ormai insopportabili per chi le vive?
Non parliamo solo dei malati che soffrono terribilmente per patologie atroci (tumori, cancrene diabetiche, nefropatie, ec.) ma anche di situazioni che apparentemente agli estranei potrebbero sembrare in qualche modo meno "estreme" ma non per questo sono meno atroci per chi le vive. Qualcuno dei signori contrari all'eutanasia ha mai visto un malato di Alzheimer??? Lo conoscono il terrore di una persona che vede la sua lucidità mentale scivolare verso la demenza? E ha mai guardato negli occhi un paranoico schizzoide nei (rari) momenti di lucidità? Perchè queste persone non possono decidere di interrompere l'inesorabile stillicidio di un decadimento del loro pensiero LIBERO finchè LUCIDO e chiedere, prima di essere ormai poveri corpi privi di ragione (l'unica vera prova del loro essere "persone" e non solo "corpi viventi")di poter accedere a una morte dignitosa assistita da personale medico competente?
Che bisogno c'è di "giustificare" una scelta di morire? Non c'è alcun bisogno di istituire una "griglia di selezione" per cui dire SI a qualcunoe NO a qualcun altro! Forse qualcuno starà pensando ai depressi che, in un momento di gravità particolare del loro stato, potrebbero chiedere di morire aiutati dallo Stato perchè magari non hanno il coraggio di uccidersi da soli; oppure a un impresario rovinato dagli strozzini che non ha più dove sbattere la testa. Ma io credo che se un uomo giunge a una decisione estrema come chiedere allo stato di dargli finalmente la pace che il suo corpo o la sua psiche anelano NESSUNO ha il diritto di indagare sul PERCHE'! Basta con il paternalismo di presumere che chi vuol essere aiutato non è in grado di chiedere aiuto! E' lo stesso discorso che si fa sull'aborto: povere donne non hanno la forza di portare avanti una gravidanza "difficile", aiutiamole per evitare che abortiscano!! Basta paternalismo: ogni uomo (o donna) è in grado di decidere se chiedere AIUTO o se, semplicemte, la sua vita è ormai logora e (per lui) priva di significato. Se non si riesce a "obbligare" la classe medica (mi sembra in generale riluttante) a "staccare" tutte le spine che crocifiggono i tanti Welby, offriamo almeno a chi ha deciso liberamente di interrompere la propria esistenza quella che in molti stati democratici è "l'assistenza al suicidio".