lunedì 11 dicembre 2006

Flavia Amabile non si arrende e continua a scrivere di Welby

A mia nonna (che è un po’ come la moglie del tenente Colombo) sarebbe bastato molto meno per provare vergogna e non osare riparlare di quanto quel sentimento le aveva suscitato. Per pudore, e per una forma di riconoscimento di un eventuale malinteso.
Ma i tempi sono cambiati, si sa. E le nuove generazioni sono più spudorate, audaci e dotate di memoria più corta. Unita ad una galoppante fantasia.

Flavia Amabile è tornata oggi a scrivere di Piergiorgio Welby, anzi del «caso Welby», con il meritevole intento di voler ridare umanità all’uomo divenuto, appunto, «caso» (“sbaglierebbe chi pensasse che dietro il «caso» non ci sia un uomo diverso da tutti quelli che in questo momento si trovano in una situazione più o meno analoga”).
E per scriverne con maggiore precisione e accuratezza, sembra che sia tornata a trovarlo, ormai è quasi di famiglia.

Per non approfittare del potere ipnotico che ogni scrivente ha su quanti leggono, faccio un passo indietro e domando: se leggeste le righe seguenti, che informazioni ne trarreste?

(Nella trincea disarmata di Welby, la Stampa, 11 dicembre 2006)

Periferia romana
Il suo quartier generale […] si trova in un appartamento all’ultimo piano di una palazzina qualsiasi della periferia romana. Anzi, in una stanza dove il crocefisso regalato da una zia suora divide la parete con un calendario da cui ogni mese lo salutano corpi di donne come-Dio-le-ha-fatte.
Di sera accanto al letto di Welby appare un lettino, più piccolo, per la moglie Mina. Di giorno il lettino diventa un divano per gli ospiti.
Un computer acceso alcune ore al giorno per vagare dal sito dei Radicali a quello dell’associazione Luca Coscioni, la radio sempre sintonizzata sulla stazione di Marco Pannella e soci. Se Luca Volontè del’Udc lo invita a suicidarsi e di lasciar perdere la sua battaglia, lo viene a sapere più o meno in diretta, e risponde.
Lo fa anche se da quest’estate le sue condizioni sono via via peggiorate e ha dovuto lasciare la bacchettina di legno con cui toccava la tastiera e ridurre drasticamente il tempo trascorso davanti allo schermo luminoso. Ora usa il copia e incolla con il touchpad, si serve delle faccette per indicare se ha gradito o no una certa frase.
Di tanto in tanto arriva il nipote Simone a rimettere in funzione schermi e tastiere quando all’improvviso si bloccano. Mentre alla moglie Mina tocca l’intera parte assistenza. Infermiere? Nessuna. Medici? Quando serve il medico di famiglia o lo pneumologo.
La trasformazione di una semplice stanza in quartier generale del «caso Welby» risale a quattro anni fa. (Il corsivo è mio)
A me le prime righe suggeriscono questa immagine: Flavia Amabile raggiunge il quartiere di Welby, citofona, entra e ha tutto il tempo per ammirare le pareti e quanto vi è appeso (però posso sbagliare, naturalmente). Il solito crocefisso (dall’articolo del 3 ottobre, Gli stacco io la spina: “L’appartamento è sempre lo stesso, nella stanzetta di Welby c’è sempre appeso un crocefisso, accanto a lui ci sono la moglie Mina e la figlia”), e poi qualche considerazione sulla vita e sulla morte, sulle richieste di Welby e così via.
Ancora con la storia del crocefisso? Non basta. Aggiungiamo qualche altro dettaglio: un bel calendario, di quelli che si vedono spesso dai meccanici e dai carrozzieri. Due belle tette e un sorriso che ha l’intento di farti sentire l’unico uomo al mondo. I dettagli descrittivi, si sa, servono a dare corpo alla ricostruzione (per citare le parole di Flavia Amabile [usate nel rispondere a Alberto Licheri che le chiede chiarimenti circa il già citato articolo del 3 ottobre (in mildavereno): Lei è dunque andata nell’appartamento di una omonima famiglia che vive anch’essa nel quartiere “Don Bosco”, e che le ha allestito la messinscena di un finto malato che somiglia a Piergiorgio?
Se lei non chiarisce bene come sono andate le cose, non può stupirsi dell’altrui indignazione. I chiarimenti sono più importanti delle scuse. Meglio 1 scusa e 1 chiarimento esauriente che 1000 scuse accompagnate da spiegazioni oscure.]:
Scrivere <… non resta che andare a vedere che cosa accade nell’appartamento …> è un modo un po’ più scorrevole, anche più gradevole alla lettura che scrivere <… ed ora telefoniamo …>.
È una figura retorica*, spesso usata dai giornalisti ma non penso che questo significhi ingannare qualcuno: i pezzi in cui si va a casa di qualcuno sono costruiti in modo del tutto diverso, sono – quelle sì – interviste, oppure incontri con un personaggio in cui la descrizione del luogo assume un’importanza ben maggiore delle poche righe contenute nel mio pezzo.)
* Non mi risulta che le figure retoriche comprendano le menzogne, ma potrebbe essere che io faccia riferimento ad un vecchio dizionario di retorica. Se tu mi dici che c’è X sul tavolo, e X non c’è, come lo vogliamo chiamare questo equivoco?

“Dov’era lunedì pomeriggio?”.
“Ero sulla scena del crimine”.
“Ma io ho una prova inconfutabile che lei fosse al cinema”.
“Ho usato una figura retorica”.
“Una figura retorica? Mi ha mentito, piuttosto! Ha inventato di essere stato in un luogo che non ha mai visto”.
“Ma quando mai! Io non ho inventato nulla”.
“Insomma, è stato o non è stato sulla scena del delitto?”.

(Secondo Flavia Amabile una ulteriore ‘prova’ che non ha inventato nulla consiste nella percezione (sua ed altrui) che non c’era una sotterranea volontà di fare uno scoop.
Ancora da mildavereno: Non ho invece inventato un’intervista che – a mio parere – è qualcosa di molto ma molto più grave. Presuppone dolo, voglia di colpire qualcuno o, al massimo, di fare uno ‘scoop’. Ma mi spiegate dove era lo scoop se nessuno al giornale lo ha ritenuto tale: né io che non l’ho messo in testa all’articolo come avrei fatto se fosse stato uno ‘scoop’ né il giornale che non ha minimamente pensato di richiamarlo nei titoli?)

Insomma, licenza poetica e non invenzione (peraltro di pessimo gusto quella del calendario; non contribuisce a conferire verosimiglianza e veridicità al pezzo dell’Amabile, ma a rendere ancora più squallida una vicenda che ha del grottesco).
Peccato che Mina Welby avesse smentito le licenze poetiche dell’Amabile, pur avendo questioni molto più serie cui pensare. Amabile, non contenta, continua a scrivere di Welby nell’indifferenza assoluta verso una spudoratezza e un cattivo gusto di rara fattura.
Si era schermita: “Sono rimasta vittima di un trappolone da parte di una famiglia omonima, tutto qui”.
Tutto qui: e oggi si aggiunge un calendario a un crocefisso e a una figlia, parti di una fantasia maldestra.
Tutto qui? Anche il calendario è un trappolone? Che cosa è successo questa volta? Ha telefonato a un ennesimo Welby dell’elenco telefonico? Che le ha descritto il culo e lo sguardo voglioso di dicembre? Le altre 11 foto conservate con cura, e non strappate via come il calendario di Frate Indovino, che ogni tanto si ripassa l’anno. Ogni mese una figa diversa.

(Per aggiunere ulteriore veridicità, questa qui sotto è la figa del mese di dicembre 2006 del Calendario Pirelli. Si badi, Flavia Amabile non ha specificato quale calendario fosse appeso alle pareti di casa Welby accanto al crocefisso. Quindi è una mia interpretazione libera, tuttavia ho qualche percentuale di averci azzeccato, quanti saranno i calendari con corpi di donne come-Dio-le-ha-fatte?)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Può anche darsi che io ricordi male, ma mi sembra proprio che Piero abiti al quinto piano di un edificio di sei.

Per il calendario non ricordo cosa abbia scelto Piero quest'anno; negli anni precedenti c'era Barbara Chiappini.

http://tinyurl.com/y4g3ww

http://tinyurl.com/y7wxb5

http://www.stefanet.it/chiappin.shtm

Anonimo ha detto...

miao! :D