Compassione senza pietà. La morte privata e quella pubblica di Welby sono due cose diverse, Il Foglio, 6 dicembre 2006:
La compassione senza pietà è una truffa. Anche se a predicarla siano Sofri, Bianchi, Veronesi, Welby o Pannella. Anche se a predicarla siano uomini di fede o atei secolaristi di vario conio e saio. Aiuterei chiunque mi sia caro e me lo chieda a morire sedato, opportunamente sedato per evitare la sofferenza fisica, ma esigo che la procedura legale mi resti contraria: lo aiuterei per compassione, questo chiunque che mi sarebbe caro per il solo fatto che me lo chiede, e mi prenderei per aiutarlo un debole rischio carico di attenuanti, ma non scioglierei mai il vincolo pietoso del comandamento “non uccidere”. La morte di Welby e la morte in pubblico di Welby sono due cose diverse, sono una doppia verità che dobbiamo saper praticare. Ho compassione per Welby, provo pietà per la condizione umana. Con la sua supplica di morte, Welby sceglie il primato della sua coscienza, ma con la sua invocazione di una nonna fatta per la morte sceglie il primato della sua cultura. Sono cose diverse, con conseguenze diverse. La coscienza è insindacabile e anche inafferrabile, è relativa, individuale, privata, ma la cultura è un terreno solido di oggettività, è la possibilità di unire logica ed etica, ragione e speranza, adeguando nella misura del possibile l’intelletto alla cosa.
Esorcizziamo la guerra degli eserciti, che è una trovata crudele della storia per la rimozione del male, che solo la storia è in grado di combattere, e con il medesimo movimento la serializziamo nella pancia delle donne, con il formidabile e demoniaco pretesto della loro “salute”, oppure facciamo guerra all’umanità embrionale nei laboratori eugenetici e a quella adulta nel diritto di morire come nuovo codice morale. Compassionevoli quando si tratti della coscienza libera e solitaria, del desiderio illimitato dì essere padroni di sé, un sé senza se e senza ma, del diritto a spurgare di significato e di dolore l’esistenza, e spietati per tutto il resto, cultori dongiovanneschi della morte della devozione, che della pietà, del sentimento tragico della vita, è l’aspetto più desueto ma anche più sincero.
La morfina può sedare il dolore ma non il suo significato, che resta fermo come la roccia nel vecchio e nel nuovo testamento, nella legge e nel compimento della legge attraverso il racconto cristiano della passione e della redenzione, nella storia umana e nel pensiero degli uomini e delle donne a ogni latitudine e longitudine, nella poesia, nel vagito smarrito dei bambini, nell’occhio dei cani e degli altri animali, nella perdita e nella rinuncia, nell’assenza e nel presentimento della fine. Senza questo significato siamo dispersi e senza nome, omologati e spietati o impietosi. Con questo significato siamo invece pii, buoni, davvero disponibili a vivere e a morire per noi stessi e per gli altri.
1 commento:
Attenzione che a forza di pubblicare stupidari questo blog rischia di diventare indistinguibile da quelli che esprimono le stesse opinioni che voi qui esponete al pubblico ludibrio :-)
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