Dalla Stampa di ieri (Domenico Quirico, «Il boom dei bimbi con due mamme», 17 febbraio 2007):
Quando Astrid e Myriam sono andate a iscrivere Augustine a scuola la maestra non ha battuto ciglio. Nel piccolo villaggio dell’Ardèche dove abitano, settecento anime, la loro storia la conoscono tutti e non ha mai fatto bisbigliare. Senza nessun suggerimento, l’insegnante sul registro ha sostituito la formula consueta: tuo padre e tua madre seguiranno la tua crescita...» con «le tue due mamme...» E sì: Augustine, che ha cinque anni, quando disegna la sua famiglia disegna due mamme e il gatto Ouille. Il papà no, perché Augustine non c’è l’ha. Astrid, che lavora nell’editoria, e Myrian, che è restauratrice, compongono una delle centomila, famiglie omosessuali francesi. Che sempre più hanno bambini. Duecentomila dice l’Associazione dei genitori gay, decine di migliaia accorciano le cifre semi ufficiali. Il contrasto sul numero di zeri non impedisce comunque il consenso sull’esistenza di un «gaybabyboom» che ha potentemente contribuito a trasformare la Francia senescente e con le culle vuote nel paese che ha il più alto indice di natalità dell’Unione europea, due bimbi per coppia.
Benvenuti dunque anche ai bimbi con due mamme. Ma non solo. Spostiamoci a Parigi nel decimo arrondissement. A vederli davanti a scuola dove aspettano a giorni rigorosamente alterni l’uscita della piccola Lou, Jérôme e Nathalie possono appartenere a una storia banale, di divorziati capaci di gestire senza strilli e litigi il dopo. Invece Lui è omosessuale, da tre anni vive con un compagno. Per avere un figlio grazie a un amico ha trovato lei, eterosessuale e celibe che non aveva mai incontrato l’anima gemella. Lou è nata in Belgio con l’inseminazione artificiale. Da tre anni il metodo di dividersela funziona anche perché i due genitori abitano a poca distanza l’uno dall’altro. Ma il compagno di Jérôme lo ha lasciato. Le frontiere della famiglia, la sua stessa definizione in Francia si stanno spostando ad alta velocità. Ci sono casi ancor più estremi: bambini che hanno due mamme e due padri, la madre biologica e la sua compagna, il padre biologico che ha fornito il seme e il suo compagno. Nell’opinione pubblica, occorre dirlo, è una realtà che non sembra far paura, nemmeno stupire. Nessuno grida all’antico «scandalo». È la politica, semmai, che continua a far finta di nulla, è in ritardo, resta prudenzialmente ancorata ai divieti. Ma poi, ipocritamente, accetta che la legge, passo dopo passo, insensibilmente, venga aggirata, svuotata e il costume avanzi. Ipocrisia? Saggezza politica? Il grande scontro è ormai sulla legalità dell’adozione da parte delle coppie omosessuali. E mercoledì la Corte di appello di Amiens ha fissato un passaggio forse decisivo in questa rivoluzione silenziosa e pressoché quotidiana. Protagonista ancora un bébé Thalys come li chiamano qui, dal nome del treno che collega la Francia e il Belgio: dove si va perchè lì l’inseminazione artificiale è consentita. È il figlio di due donne, due funzionarie della Somme, che hanno formato una coppia di fatto nel 2001. Sono loro che hanno chiesto a un tribunale di autorizzare la sua adozione da parte della compagna della madre. Di riconoscere insomma per la prima volta la doppia maternità. La corte di appello, confermando la sentenza di primo grado, ha detto che è una richiesta legittima: «Il bambino è stato allevato in un’ambiente stabile e le due donne vogliono educarlo insieme. In questo modo potrà disporre di un genitore in più in conformità con la realtà del quadro familiare in cui cresce».
La sentenza, accolta come rivoluzionaria dall’Associazione dei genitori gay farà giurisprudenza. Ma per ora si resta al caso per caso, alla faticosa odissea legale e aministrativa dove perfino l’impaccio linguistico e definitorio prova l’incertezza del diritto, un residuo di ipocrisia. Basta scorrere le sentenze e i ricorsi, inutilizzabile il vecchio vocabolario, padre e madre, si lavora di metafore e di neologismi: «la compagna della madre» oppure «i genitori sociali»... la legge si può facilmente aggirare, basta nascondere la propria omosessualità e presentarsi nella domanda di adozione come celibi. Sono gli stessi servizi sociali a suggerire il trucco: «Non ci sono, in fondo, questionari dove è rischiesto di spiegare le proprie partiche sessuali». Ma è dopo che iniziano i guai e i problemi: non avendo alcun riconoscimento legale, se la madre muore, ad esempio, la compagna che con lei ha allevato il bambino fino a quel momento non ha alcun diritto a tenerlo con sé. È per questo che si avanza a piccoli colpi, erodendo la legge con le sentenze. Karine e Elodie per esempio hanno citato in giudizio la Cassa assistenza malattie di Nantes, la città dove vivono. Karine ha portato in grembo il loro bambino, Elodie di fatto svolge il ruolo di padre. Ma non le spettano i tre giorni di assenza autorizzata e le ferie pagate concessi dalla «Sécu» a tutti i padri di famiglia. «Un papà non può essere una mamma – ha argomentato il direttore – questo bambino non ha forse un padre biologico? Se lui ci chiede le ferie gliele diamo». In attesa che il tribunale si pronunci, è Elodie che aspetta a sua volta un bambino. Lei andrà in congedo maternità. E sarà Karine a rivendicare le ferie come padre. Come è complicata la nuova famiglia.
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