Domenica scorsa il Portogallo è stato chiamato alle urne per esprimersi su un referendum che mirava a liberalizzare l’aborto. Come in Italia, esiste il quorum, per cui se la partecipazione al voto rimane sotto il 50% l’esito della consultazione non ha valore legale; come in Italia, la Chiesa locale ha tentato il trucco vigliacco dell’astensionismo, per sommare i voti dei contrari a quelli di chi non ha interesse a votare. A differenza dell’Italia, il governo non è succube delle gerarchie clericali, e ha reso chiaro prima di domenica che se il referendum non avesse raggiunto il quorum, il governo ne avrebbe comunque considerato vincolante il risultato, come in un referendum consultivo, e in caso di vittoria dei Sì avrebbe quindi proceduto a cambiare la legge. La Chiesa portoghese è allora passata a fare propaganda per il No, ricorrendo ad argomenti di solida razionalità, come la minaccia della «maledizione» che non avrebbe mancato di abbattersi sul paese se esso si fosse unito all’«apostasia silenziosa» del resto d’Europa e alla sua «cultura della morte» («Portugal: l’avortement légalisé avant l’été?», Le Figaro, 11 febbraio 2007). Alla fine ha votato il 43,6% degli aventi diritto, con i Sì al 59,3% e i No al 40,8%; il primo ministro José Sócrates ha subito annunciato il varo di una nuova legge.
Tutto molto chiaro, no? Ma ecco le reazioni degli integralisti italiani («“Da Lisbona un segnale all’Italia”», Avvenire, 13 febbraio 2007):
Soddisfazione del Movimento per la vita italiano per l’esito del referendum in Portogallo. «La società portoghese, nonostante le iniziali indecisioni del fronte antiabortista – commenta Carlo Casini, presidente del Movimento – ha dato una risposta chiara al tentativo del governo di liberalizzare l’aborto. Anche volendo sposare la soluzione più prudente, i portoghesi hanno dimostrato di non considerare la liberalizzazione dell’aborto come una questione urgente. Ma l’ampiezza del risultato legittima anche interpretazioni più ottimistiche: in sostanza meno del 25% dei portoghesi ha chiesto di modificare la legge sull’aborto. Per il resto, anche considerando una fetta consistente di assenteismo fisiologico, ha detto un “niet” secco ed inequivocabile». «Eppure – conclude Casini – il governo di Lisbona dichiara di voler andare avanti. Con una protervia figlia minore dell’ideologia, si fa beffe della volontà popolare e della democrazia e prosegue per la sua strada. Di conseguenza anche la battaglia è destinata a continuare. Una battaglia che riguarda il Portogallo e non solo». […]Ora, se il tuo governo ti ha appena comunicato che non terrà conto delle astensioni, e tu vuoi esprimere «un “niet” secco ed inequivocabile» all’aborto, cosa fai? Per Casini e Binetti, evidentemente, puoi votare No o astenerti...
Per la senatrice della Margherita Paola Binetti il risultato del referendum è un insegnamento anche per l’Italia, dove è arrivato il momento di applicare la parte della legge 194 che riguarda la prevenzione. «Fare una legge senza tener conto degli astenuti» significherebbe quindi tradire la volontà popolare. «Penso sia giunto il momento di riparlare della 194 e dell’attuazione della prima parte: quella sulla prevenzione». Su questo tema, avverte l’esponente dielle, «batteremo il ferro finché è caldo».
L’interpretazione più caritatevole è che i due siano rimasti intossicati dalla loro stessa propaganda (ricordate la balla del 75% di Italiani «favorevoli» alla legge 40?); quella meno caritatevole è che i meccanismi della democrazia, persino i più elementari, siano del tutto incomprensibili a Casini e Binetti, che appartengono nel profondo a un mondo opposto a quello delle regole democratiche; un mondo che, con «una protervia figlia minore dell’ideologia, si fa beffe della volontà popolare»...
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