sabato 10 febbraio 2007

DiCo: il diavolo è nei dettagli

Gianni e Michela stanno per compiere un passo importante: andranno a vivere assieme. Dopo qualche discussione, hanno deciso di non avvalersi dei diritti previsti dalla legge sui DiCo, optando per una completa libertà. Gianni, per la verità, ci è rimasto male: è la parte economicamente più debole della coppia – è traduttore, e lavora sporadicamente, mentre Michela è manager di una piccola azienda – ma svolge molte incombenze domestiche, e pensa che sarebbe giusto ricevere un assegno di mantenimento se le cose finissero male tra lui e la sua convivente; ma non ha avuto il coraggio di affrontare la questione. Quando è il momento di andare a dichiarare la convivenza all’Anagrafe si offre di farlo lui, visto che Michela rimane in ufficio tutto il giorno. D’impulso, però, decide di fare qualcosa di più: come prevede la legge all’art. 1 comma 3, invia una raccomandata con ricevuta di ritorno a Michela. Il postino, lo sa bene, non ha l’obbligo di consegnarla direttamente al destinatario (perfino l’ufficiale giudiziario può lasciare una notifica a un familiare del destinatario, o al portiere o a un vicino, secondo l’art. 139 del Codice di Procedura Civile); e in casa è lui che è sempre presente per ricevere la posta. Quando il postino porta la raccomandata, Gianni firma la ricevuta di ritorno, che gli tornerà indietro il giorno dopo e che nasconderà, mentre distruggerà la raccomandata per Michela. Se le cose andranno storte e se la convivenza sarà durata almeno tre anni, esibirà la sua ricevuta per dimostrare di avere ottemperato alla legge e per esigere gli alimenti da Michela. Domanda: come farà Michela a dimostrare di non aver mai ricevuto la raccomandata? E se invece i due fossero in un primo tempo d’accordo nell’accettare i diritti e i doveri previsti dal DiCo, ma Michela decidesse, dopo una brusca separazione, di non corrispondere più gli alimenti a Gianni, come farà quest’ultimo a dimostrare di aver consegnato la raccomandata, se l’avviso di ricevuta reca la sua firma e non quella di Michela?
Questi casi implicano, naturalmente, la quasi certezza di una causa in tribunale, e di tutto ciò che ne consegue; ma potrebbe anche non andare così. Sandra ha deciso di non avvalersi dei DiCo, e in particolare ha deciso che alla sua morte i suoi beni vadano interamente ai parenti che ne hanno diritto. Ma dopo la sua scomparsa Francesca, la sua compagna, tira fuori la ricevuta di ritorno – magari firmata dal portiere – senza che nessuno possa provare che Sandra non abbia mai avuto in mano la relativa raccomandata.
Forse il caso più sconcertante è questo: Giorgio non è sicuro di che decisione prendere sui DiCo, ma Enzo gli forza la mano inviandogli ugualmente la raccomandata. Giorgio l’ha ricevuta regolarmente, ma decide a questo punto che non vuol sapere nulla di diritti e doveri. Consulta la legge, e scopre che non esiste nessuna norma che gli consenta di sottrarsi: può soltanto chiedere a Enzo di distruggere la sua ricevuta di ritorno, e fidarsi eventualmente della sua assicurazione di averlo fatto.

Sarebbe sorprendente se il demenziale meccanismo della raccomandata sopravvivesse all’esame delle Camere. Se proprio si volesse mantenere lo spirito della legge, si potrebbe forse fare ricorso a uno scambio di attestazioni autografe fra i conviventi, in cui per esempio Gianni comunichi di aver effettuato la registrazione anagrafica, e Michela di aver ricevuto questa comunicazione; ciascuno dei due potrà godere dei diritti previsti della legge esibendo il documento rilasciatogli dall’altro – e pazienza se la macchinosità del tutto verrebbe così ancora aumentata, fino al ridicolo.
E tuttavia, anche questo potrebbe rivelarsi inutile. Spero di sbagliarmi, ma da certi indizi sembrerebbe di capire che in realtà il decreto legge non preveda affatto la possibilità per i partner di sottrarsi agli effetti giuridici che enumera, che interesserebbero quindi automaticamente tutti i conviventi, posto che si possa dimostrare il fatto della convivenza. Il comma 1 dell’art. 1 attribuisce infatti la titolarità di diritti e doveri senza subordinarli a nessuna manifestazione di consenso:

Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta entro il secondo grado, affinità in linea retta entro il secondo grado, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno, sono titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabiliti dalla presente legge.
E il fatale comma 3 dell’art. 1 recita, a proposito dell’invio della raccomandata:
la mancata comunicazione preclude la possibilità di utilizzare le risultanze anagrafiche a fini probatori ai sensi della presente legge.
Non si dice affatto che i conviventi senza raccomandata sono liberi di fare ciò che loro aggrada; invece, si lascia aperta la possibilità – questa, almeno, è la mia impressione – che altre prove, diverse dalle risultanze anagrafiche, potrebbero obbligare i partner ai reciproci doveri della legge; non a caso, prove di questo genere vengono citate al comma precedente. Si noti anche che l’art. 3, dedicato alle sanzioni per le false dichiarazioni, riguarda chi «chiede l’iscrizione anagrafica in assenza di coabitazione ovvero dichiara falsamente di essere convivente ai sensi della presente legge», ma non chi falsifica la volontà del partner di accedere agli effetti giuridici della legge; come se quella volontà fosse appunto irrilevante ai fini dei DiCo.

Ma, se questo è vero, come si è potuta perpetrare questa enormità giuridica? E in ogni caso, che cosa ha determinato il ricorso al folle meccanismo della raccomandata con ricevuta di ritorno?
Nella bozza che era circolata più o meno riservatamente prima della presentazione ufficiale del disegno di legge, le cose stavano ben diversamente. Al comma 1 dell’art. 1 si leggeva:
Qualora due persone, anche dello stesso sesso, legate da reciproci vincoli affettivi e che convivono stabilmente, intendano avvalersi dei diritti e, conseguentemente adempiere ai doveri individuati dalla presente legge, ne fanno dichiarazione congiunta all’ufficiale dell’anagrafe del Comune dove hanno stabilito la comune residenza, il quale annota la data della dichiarazione e la integra nella scheda anagrafica di cui all’articolo 1 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228 ed agli articoli 4, 21 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.
Cosa è successo fra la redazione della bozza e il completamento del disegno di legge definitivo? È successo quello che tutti sappiamo: che le gerarchie vaticane si sono lamentate:
qualsiasi modello di registrazione, certificazione o attestazione della convivenza, ad esempio di tipo anagrafico, alla quale venisse collegata l’attribuzione di diritti e di doveri dei soggetti che ne fanno parte, sarebbe del tutto gratuita, e finirebbe per riconoscere legalmente una realtà di tipo para-familiare, determinandola anzi come un nuovo status.
Ebbene, tutto ciò che qui si paventa, lo troviamo nella bozza messa abilmente in circolazione per saggiare l’opinione pubblica. È infatti l’articolo 1 a dare subito il là in senso para-matrimoniale al testo. In primo luogo, introduce il “rito” della dichiarazione di convivenza e della conseguente “annotazione” nell’anagrafe comunale e fa discendere da questo passaggio l’attribuzione di diritti e di doveri ai conviventi. Si delinea, insomma, un processo nel quale l’anagrafe diventa lo strumento non di un puro e semplice accertamento, ma dell’attribuzione di uno status giuridicamente rilevante. […]
Un conto è riconoscere alcuni diritti a persone che hanno dato liberamente origine a una situazione di fatto che rimane tale, e tutt’altro è dare a tale condizione una rilevanza giuridica che ne fa, appunto, la fonte di diritti e doveri assai simili a quelli previsti per la famiglia fondata sul matrimonio.
Così sul giornale dei vescovi («Il perché del nostro leale “non possumus”», 6 febbraio 2007). Molti commentatori hanno spiegato i cambiamenti apportati alla bozza con la volontà di cancellare ogni possibile qualità ‘rituale’ del passaggio allo status di conviventi; ma questo elemento, seppur certo presente, non spiega la portata degli stravolgimenti: lo stesso risultato si sarebbe potuto ottenere con la previsione di dichiarazioni anche disgiunte, senza ricorrere al grottesco scambio di raccomandate (nel testo licenziato dal Consiglio dei Ministri la dichiarazione, se resa in coppia, può essere soltanto contestuale, cioè contemporanea, ma questo dipende da motivi tecnici relativi all’impianto della legge su cui non vale la pena di soffermarsi).
Credo che il governo abbia voluto a tutti i costi tener conto del rifiuto del Vaticano di ogni possibile «nuovo status», a favore di «una situazione di fatto che rimane tale». Accettare di far dipendere diritti e doveri previsti dalla legge da una manifestazione di volontà dei conviventi, positiva o anche solo negativa, avrebbe significato creare di fatto una condizione diversa e nuova rispetto alla convivenza normale; ecco perciò che tutte le convivenze si trovano ad avere automaticamente (o comunque in seguito a una semplice comunicazione di un partner all’altro) effetti giuridici.

L’aborto giuridico che è il risultato di questo tentativo di evitare la vendetta politica delle gerarchie, non potrà che essere mutato profondamente dal Senato e dalla Camera. Bisognerà vedere però se i cattolici del centrosinistra che si dicono laici riusciranno ad accettare un testo diverso dall’attuale; gli agenti del Vaticano, per parte loro, non potranno che votare contro. Possiamo solo sperare che – dopo il disastro compiuto – il governo si faccia da parte, e che si ricerchi un’intesa con i volenterosi del centrodestra (Biondi, Moroni, etc.). Nel mentre, la nuova questione cattolica diventa nel nostro paese di giorno in giorno più drammatica.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Il fatto che il mio iPod, in riproduzione casuale, mi abbia proposto "Un blasfemo" di De Andrè quando sono approdata alle parole "gerarchie vaticane" è un segno che dio sia dalla mia parte o che mi stia sottilmente sfottendo?

Anonimo ha detto...

E' il segno che l'iPod è una forma di intelligenza superiore. Superiore senz'altro a Ratzinger e giù a scendere per le ripide gerarchie...

Anonimo ha detto...

E che dire degli effetti di questa legge sul diritto agli alimenti? Secondo l'articolo 13 comma 5 "I diritti patrimoniali, successori o previdenziali e le agevolazioni previste dalle disposizioni vigenti a favore dell'ex coniuge CESSANO QUANDO QUESTI RISULTI CONVIVENTE AI SENSI DELLA PRESENTE LEGGE".

Ma anche il diritto agli alimenti dell'ex convivente è parimenti labile: ART. 12 "L'obbligo di prestare gli alimenti cessa qualora l'avente diritto contragga matrimonio o inizi una nuova convivenza."

Come si fa a dire allora che questa legge non danneggia l'istituto familiare ?

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele, temo che ci sia un equivoco (che la lettura del tuo blog sembra confermare): l'ex convivente perde gli alimenti se inizia una nuova convivenza, non se la inizia chi glieli dava.