In un momento già non felice per le sorti del liberalismo in Italia, capita spesso di scoprire angosciati che alcuni di quelli che si dicono liberali o finanche libertari – e che saresti quindi portato a computare dalla tua parte, quasi senza pensarci – si oppongono violentemente a battaglie che hai sempre pensato fossero in massimo grado liberali e libertarie. È il caso ultimamente della regolamentazione delle unioni di fatto: è capitato persino che qualcuno che orgogliosamente sbandierava la sua appartenenza ai «libertari italiani» dimostrasse all’improvviso un’omofobia degna dei peggiori codini.
L’angoscia è giustificata, ma non c’è forse molto da stupirsi: il libertarismo, in Italia – ma qualche esempio c’è anche altrove – è divenuto da un po’ di tempo la copertura ideologica prestigiosa, «americana», dei ceti più insofferenti all’imposizione fiscale, che per il resto rimangono però strettamente legati al mondo vetero-cattolico delle origini e ai privilegi del patriarcato: per loro l’unica libertà che conta è la libertà dalle tasse; lo sperimentalismo sociale della parte più viva del libertarismo anglosassone (si pensi per esempio all’influenza dello scrittore Robert A. Heinlein negli Usa) è necessariamente il loro nemico. Discorso non diverso per molti ‘liberali’ (la differenza è in sostanza solo anagrafica: i libertari all’italiana sono mediamente più giovani), che sono tali solo in quanto avversi a uno Stato potenzialmente incline a mettere in dubbio i loro privilegi sanzionati dal tempo e dalla Tradizione, e che ritroviamo puntualmente a cantare le lodi delle posizioni più retrive della Chiesa cattolica.
Consideriamo un esempio concreto. Il Foglio di due giorni fa ha ospitato un lungo articolo di Giovanni Orsina («L’individualista e laico Orsina dice che la legge sui Dico non è liberale, è solo anticlericale», 24 febbraio 2007, p. 3). L’autore, poco dopo l’inizio, fa questa dichiarazione di principi:
Il diritto che gli individui indiscutibilmente hanno è quello di vivere con qualunque altro individuo adulto e consenziente essi vogliano, sia di un altro sesso o sia del medesimo, senza doverne rendere conto alla società né allo stato. Detto altrimenti, gli individui hanno precisamente il sacrosanto diritto di creare una coppia di fatto. Ma che quella coppia di fatto sia poi riconosciuta pubblicamente, e le siano attribuiti privilegi che vanno a discapito di terzi – come nel caso del subentro nel contratto d’affitto –, o della collettività – ad esempio con la reversibilità della pensione –, è questione che con gli intangibili diritti dell’individuo ha ben poco a che spartire. Uno stato rigorosamente individualista, libertario, consente qualunque comportamento non leda i diritti altrui, ma al contempo di questi comportamenti leciti non ne incentiva neppure nessuno. Ai suoi occhi una zitella solinga o Harun al Rashid col suo harem di mogli si equivalgono a perfezione.
E fin qui non ci sarebbe nulla da eccepire, naturalmente, se non una certa occhiutezza ideologica che pragmaticamente andrebbe stemperata (il pensiero del proprietario che butta fuori dall’appartamento la compagna dell’inquilino appena morto non sembra dar fastidio a Orsina, ma a moltissimi altri, fortunatamente, sì). Ma l’articolo prosegue:
La questione andrebbe dunque del tutto rovesciata. Se in termini liberali il caso deviante non è la mancata attribuzione di privilegi alle coppie di fatto, ma al contrario l’attribuzione di privilegi alle coppie sposate, la vera domanda che dovremmo porci è se sia giusto, e per quali ragioni, che lo stato regolamenti e incentivi col matrimonio la convivenza stabile fra persone di sesso diverso. […]
Detto questo, ritengo tuttavia che la domanda posta sopra – se sia opportuno attribuire privilegi alle coppie regolarmente sposate – debba trovare una risposta positiva. Per la semplice ragione che, fino ad ora, la convivenza stabile fra persone di sesso diverso s’è storicamente dimostrata lo strumento più adatto per generare e formare i nuovi individui. […]
I privilegi che la legge attribuisce al matrimonio, e che possono essere difesi in un’ottica liberale perché atti a facilitare la generazione e formazione di nuovi individui, vanno estesi anche alle coppie di fatto eterosessuali? E a quelle omosessuali? A mio avviso entrambe le risposte debbono essere negative. Rispetto alle coppie omosessuali, perché manca l’elemento cruciale: la generazione e formazione di nuovi individui, appunto. Altro sarebbe se le coppie omosessuali potessero accedere alle procedure di procreazione artificiale o all’adozione. Il che però sarebbe a mio avviso gravemente inopportuno, considerato come la struttura che storicamente s’è rivelata in grado di formare gli individui sia la famiglia eterosessuale, e come un elementare principio di prudenza suggerisca di seguire in questo campo i dettami della tradizione, evitando di imporre esperimenti a pre-individui che – per definizione – sono incapaci di scegliere.
Argomentazione ripetuta mille volte, dalla quale viene quasi sempre omessa – scientemente, perché è un punto troppo ovvio per essere dimenticato – la circostanza che la inchioda alla sua vacuità:
il matrimonio eterosessuale non è appannaggio esclusivo delle coppie in grado di generare; ad esso e ai suoi privilegi sono ammesse anche le coppie sterili, e soprattutto le coppie di anziani, per le quali si sa già in anticipo che le nozze sono destinate a rimanere infeconde e chiuse alla procreazione. Né questi sono considerati dalla società matrimoni di seconda categoria: l’approvazione sociale è sincera e per nulla inferiore a quella che circonda il matrimonio di una coppia potenzialmente fertile.
Quando muovi questa obiezione, «libertari italiani», liberalconservatori e liberalclericali abbozzano un sorrisetto di compatimento, scuotono la testa, come a dire «è vecchia!»; ma la controreplica, chissà perché, non arriva mai – se non nella forma di assurdi arzigogoli; e
non può arrivare, perché logicamente non ce n’è una (si veda la lunga – anzi, ahimè, prolissa –
discussione, in cui mi sono ritrovato impegnato qualche giorno fa).
Una risposta coerente sarebbe l’abolizione del diritto a sposarsi per le coppie di anziani che non abbiano già figli; ma naturalmente, questo è per molte ragioni improponibile (anche se a lungo termine l’evoluzione del costume va verosimilmente nella direzione della fine del matrimonio come unione sessuale, e della sua sostituzione nell’ordinamento giuridico con la relazione di cura, secondo le suggestioni di
Martha Albertson Fineman e di altri).
Si può invece sostenere che il matrimonio genera altri beni sociali, oltre a quelli rappresentati dalla riproduzione, e che quindi esso andrebbe esteso (di fatto se non di nome) anche agli omosessuali. Un liberale autentico guarderà sempre con sano scetticismo a queste pretese di vantaggi per la società, ma in questo caso non c’è in effetti neppure bisogno che esse siano giustificate: l’uguaglianza di fronte alla legge basta e avanza per dire sì alle nozze omosessuali. Non esiste uno straccio di giustificazione per la situazione attuale, in cui gli omosessuali pagano con le loro tasse i privilegi delle coppie eterosessuali, anche sterili, da cui essi sono tuttavia esclusi.
Del resto, è poi così ovvio che gli omosessuali siano incapaci di generare? Orsina, con ingenuità tanto monumentale da riuscire ancora una volta sospetta, sembra credere che i gay non possano avere figli se non con la fecondazione in vitro o l’adozione. Forse l’equivoco è naturale per quanti – in accordo con meccanismi psicologici ben noti – sentono il bisogno di marcare la propria distanza dall’universo gay incrementando fino al parossismo la ripulsa dell’orientamento omosessuale; ma in ogni caso si dovrebbe sapere che la fecondazione artificiale non avviene solo in provetta e in laboratorio...
Le famiglie omosessuali, anche se i figli provengono geneticamente dall’esterno della coppia (almeno allo stadio attuale delle tecniche riproduttive), sono più fertili di molte coppie eterosessuali – e certo nessuno può pensare di sottrarre loro i bambini (caritatevolmente evito di esaminare la consistenza logica delle idee di Orsina sui pre-individui). Il loro diritto a sposarsi, checché ne pensino tanti sedicenti ‘liberali’, è sicuro e incomprimibile, e lottare per conseguirlo è una battaglia di libertà.